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Channel: Sant’anna di Stazzema – La nostra storia
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Sant’Anna di Stazzema, una strage programmata

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Non si trattò di una rappresaglia, come nel caso dell’eccidio alle Fosse Ardeatine, deciso in risposta all’attacco partigiano di via Rasella, né si trattò di un errore, o di un ufficiale che aveva disobbedito agli ordini. No, la strage di Sant’Anna di Stazzema, con le sue 560 vittime, 130 delle quali bambini sotto i quattordici anni, rientrava nei piani tedeschi e nella logica della direttiva emanata nel giugno 1944 da Albert Kesselring, il capo supremo dell’esercito germanico in Italia, di terrorizzare la popolazione civile. Per questo a capo della sedicesima divisione granatieri corazzati SS Reichsfuher fu chiamato il generale Max Simon, che già si era distinto per le azioni di terrore sul fronte orientale e aveva comandato negli atti di repressione della popolazione inerme un reparto denominato “testa di morto”, composto esclusivamente da ex guardie del lager nazisti.
Quando all’alba del 12 agosto 1944 tre reparti della 16°, agli ordini di Anton Galler, si mossero dalla costa e puntarono verso Sant’Anna, un paesino di 400 abitanti a 600 metri di altezza sulle Alpi Apuane che in quel periodo ospitava qualche centinaio di sfollati, la strage era già stata stabilita. I pochi uomini abili, avvertiti per tempo, lasciarono le abitazioni, per evitare di essere arruolati come forza lavoro dai nazisti. Nessuno pensava che questi se la sarebbero presi con donne, vecchi e bambini rimasti a dormire nelle case e nelle cascine.
Le SS tedesche indossavano speciali tute mimetiche, le stesse date in dotazione ai repubblichini italiani che si erano offerti di guidarli sino ai luoghi dell’eccidio. A differenza della strage di Marzabotto che si compì nell’arco di alcuni giorni alla fine dei quali tra settembre e i primi di ottobre si contarono 771 morti, l’eccidio di Sant’Anna, il secondo per numero di vittime nel macabro computo della sanguinosa ritirata tedesca, si compì in poche ore. La furia delle SS tedesche e, lo ripetiamo, di alcuni italiani, si abbattè su uomini, donne, bambini e anche animali. Dove non arrivavano con i fucili mitragliatori le SS colpivano con il fuoco. Come hanno raccontato i superstiti dell’eccidio, molti cadaveri vennero trovati carbonizzati.
La motivazione ufficiale dell’azione tedesca era che gli abitanti di Sant’Anna non avevano obbedito all’ordine di sgombero del 26 luglio per favorire il transito delle truppe naziste, ma tutti sapevano che quell’ordine era velleitario e che dopo aver fatto sgombrare la costa i tedeschi non potevano né avevano l’intenzione vera di creare un corridoio così ampio… Quella era soltanto una scusa per attuare il terrore. Fu così che i cittadini di Sant’Anna e gli sfollati vennero radunati davanti alla chiesa o nei cortili delle cascine e uccisi a gruppi.
Alcuni si salvarono e poterono raccontarlo grazie al caso, finiti indenni sotto un cumulo di cadaveri, o per audacia. L’audacia dei bambini soprattutto, che portò Alberto Pancioli Guadagnucci, come ha raccontato in un libro uscito l’ano scorso a disobbedire alla madre Elena, che venne uccisa, e a rifugiarsi nel bosco con un compagno. O l’iniziativa del piccolo Enrico Pieri, che si rifugiò con due amiche sfollate in un sottoscala coprendosi la testa con le mani per proteggersi dal crepitio della mitragliatrice e dalle schegge dei proiettili che uccidevano genitori, fratelli, parenti, compagni di gioco.
Avvenne anche il miracolo di imbattersi nel tedesco buono. Questa sorte tocco a Ennio Mancini, che dopo aver atteso con altri in uno slargo che i tedeschi montassero le mitraglie sui treppiedi, vide arrivare un ufficiale con l’ordine di interrompere l’azione e di trasferire tutti a Valdicastello. Durante il cammino i ragazzini, per lo più scalzi e più lenti vennero affidati a un soldato giovane che a un certo punto fece loro il segnale di scappare e per coprire il suo gesto si mise a sparare in aria.
La vittima più piccola aveva venti giorni. Rimase attaccata al seno della madre che era stata raggiunta mentre fuggiva in un bosco da un colpo di fucile.
La memoria di quest’orrore non divenne davvero patrimonio comune sino alla metà degli anni Novanta, quando in uno scantinato della procura militare l’allora procuratore militare Antonino Intelisano scoprì un armadio contenente centinaia di fascicoli archiviati sulle stragi nazifasciste in Italia. Tra questi i documenti su Sant’Anna di Stazzema. Cominciò allora per iniziativa soprattutto del procuratore militare di La Spezia Marco De Paolis, oggi procuratore militare generale a Roma, un lavoro di ricerca che portò nel 2004 al processo contro i responsabili ancora viventi dell’eccidio di Sant’Anna. Il processo di concluse con la condanna all’ergastolo di dieci ufficiali e sottufficiali che avevano partecipato all’azione del 12 agosto 1944. La sentenza venne confermata in Appello e Cassazione, ma non potè mai essere applicata. Nel 2012 la procura di Stoccarda archiviò l’inchiesta dopo aver rifiutato l’estradizione delle ex SS. La motivazione era duplice: che non potesse essere dimostrata la partecipazione materiale dei singoli agli omicidi e che non era chiaro se l’attacco contro i civili del 16° SS Panzgranadier fosse stato deciso in risposta alle azioni partigiane.
Il meccanismo della giustizia si è inceppato, ma rimane la forza di ricordare. Per questo invitiamo alla lettura dei libri che lo storico Paolo Pezzino, il maggiore esperto italiano della guerra ai civili, ha dedicato all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Il primo è stato pubblicato dal Mulino nel 2008 (“Sant’Anna di Stazzema. Storia di una strage”), il secondo, scritto con Marco De Paolis, è edito da Viella nel 2016 (“Sant’Anna di Stazzema. Il Processo, La Storia, I Documenti”).
Dino Messina


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